mercoledì 27 marzo 2013

La città

Nel 1857 la città di Parigi appariva ricca di innovazioni tecnologiche e prendeva l'aspetto di una "metropoli" di quei tempi. La scena si apre di notte, una notte che porta il colore giallo dei lampioni a gas lungo la strada per andare in città, e ovunque le "fiamme dei gas" s'intravedono nell'oscurità. L'illuminazione elettrica pubblica aveva già raggiunto la capitale francese mentre nel resto del paese probabilmente di notte ci si orientava ancora alla luce della luna; in Francia come del resto in Italia.
Il protagonista, che mancava da sette anni nella città natale, ha diverse sorprese: Parigi è diventata una sorta di cantiere vivente, sono state soppresse alcune strade e fatte di nuove per far posto a nuovi edifici mai visti prima, almeno non così voluminosi. Al personaggio "tutto pare più grande" e pensando di andare a trovare il fratello chiede se "c'è ancora rue Pirouette?", segno di un'urbanistica in continuo mutamento per far posto al nuovo.
Ma l'edificio per antonomasia nel libro, il vero protagonista di esso, sono i mercati generali, freschi freschi di costruzione. "Voi forse non conoscete neanche i mercati nuovi? Saran cinque anni che li hanno costruiti. Vedete, questo qui, vicino a noi, è il padiglione della frutta e dei fiori..."; sono una costruzione enorme, contenente enormi quantità di beni di tutti i tipi. Il protagonista si dilunga nell'osservazione dell'oggetto, affascinato ed atterito, e l'autore pure nella descrizione. Quell'immane "foresta di metallo ... sotto le cui fronde si nascondeva tutto un mondo" è uno dei simboli del progresso della città; come dice l'autore "il nostro tempo era tutto là, in quella mole".
La necessità di dare a Parigi una così grande scorta di merci deriva dal grande incremento demografico della rivoluzione industriale. La richesta di lavoratori in fabbrica ha portato a una costante migrazione dalle campagne alla città industrializzata, il polo produttivo non è più la fattoria ma la fabbrica. Così le città che prendono per le briglie il progresso tecnologico devono anche far conto di "accogliere" un numero mai visto prima di abitanti e di sopperire alle loro esigenze. E così hanno origine nuove strade, nuovi palazzi, nuovi edifici, tutti atti al sostenimento della popolazione. La cultura scientifica ha portato anche a riconsiderare alcune necessità: ad esempio l'igiene e la pulizia pubblici non erano mai stati curati con tanta cura, nei secoli precedenti. Vediamo squadre di spazzini al lavoro nel mercato per rimuovere i rifiuti, viene quindi creato un mestiere atto proprio a pulire la città. Certo a noi questo contemporanei sembra ovvio ma se si pensa che nel Medioevo si rovesciavano i vasi da notte per strada e le strade venivano lasciate sporche di escrementi, ci rendiamo conto che sono stati fatti grossi passi avanti.
Lo stesso gusto dell'uomo muta rispetto la modernità imperante: l'immagine del ferro e del metallo, una volta ritenuta sterile sotto un certo sguardo artistico, adesso comincia a suscitare ammirazione e fascino. Vi è un pittore che sotto la volta dei mercati: "guardate là quell'angolo; non è un quadro bell'e pronto? è molto più vero e umano che non quelle loro tisiche pitture sacre!". Le costruzioni in metallo diventano quasi elementi di una moda progressista, lanciata dagli uomini di scienza, ma apprezzata anche dagli uomini d'arte. Sempre lo stesso pittore, parlando delle sue opere si alterna fra la bellezza della natura e l'esaltazione dell'artificio, la ripresa e il rifiuto del vecchio a favore del nuovo; narra l'autore "preferiva quei mucchi di cavoli al ciarpame del Medioevo e finì con l'accusarsi dell'acquaforte di rue Pirouette come di una debolezza. Era ora di buttare via quelle anticaglie e fare del moderno!"
Lo stesso Zola nella sua arte di scrittore ricorre a un certo gusto del metallo: le analogie non si rivolgono più a elementi bucolici o tradizionali per la cultura del tempo, ma si fa largo uso del ferro e dei metalli come termine di paragone: "gli enormi cavoli bianchi chiusi e duri come palle di metallo, cavoli ricciuti dalle larghe foglie, simili a tazze di bronzo". Abbondano descrizioni, stridenti e liriche, del mercato come di qualcosa che sfiora il trascendentale, la già citata "foresta di metallo" e altre, come la seguente: "Le loro forme geometriche si intersecavano l'una sull'altra; quando ogni lume fu spento all'interno, ed i mercati furono inondati dalla luce del giorno, apparvero quadrati, uniformi, come una macchina moderna e smisurata, che so, un'enorme macchina a vapore, una caldaia che dovesse servire alla digestione di un popolo, un ventre gigantesco, bullonato, ribadito, fatto di legno, di vetro e di ferro, di una eleganze, di una potenza da motore meccanico azionato dal calore del combustibile, e dalla furia fremente e vertiginosa delle ruote".

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