martedì 2 aprile 2013

Trasformazioni urbane

Oggi posto quattro diverse "cartine" di Parigi, una del 1615, una del 1760, una del 1800 e una del 1900. Si nota bene il passaggio da una piccola città feudale, circondata dalle fortificazioni di quell'epoca (la mappa è stata ruotata in senso orario per posizionare la Senna sull'asse verticale), a una molto più estesa. La più grande espansione avviene durante l'800, quando la città deve far posto all'inurbamento delle masse operaie.





Il simbolo di Parigi, la Tour Eiffel, è un monumento in ferro alto 324 m inaugurato nel 1889, per il centesimo anniversario della Rivoluzione Francese.

sabato 30 marzo 2013

Il nuovo orgoglio

"Con la sensazione di essere capitato male in quel mondo di grassi, lui magro e ingenuo", il protagonista infine trova la casa del fratello. Questi è un esponente del medio ceto borghese, ceto che storicamente in Francia si afferma con la Rivoluzione Francese, il cui inizio è datato nel 1789. L'800 sarà definito da molti il "secolo borghese" poichè la vecchia aristocrazia regnante in Europa cede il passo alla rampante borghesia, organo quanto mai vario ed esteso nella società del tempo, composto da piccoli medi e grandi imprenditori. Lo stesso regime politico che si instaura in Francia a metà secolo è per molti aspetti lo specchio della borghesia: il secondo Impero di Napoleone III vede una grossa espansione delle frontiere, una produzione delle risorse volta all'accumulo più che all'uso, una definitiva trasformazione negli equilibri dello stato.
L'ascesa della borghesia viene collegata alla Rivoluzione Industriale: la produzione dei beni diviene di molte volte più feconda lasciando beni in accumulo da smaltire e soprattutto da vendere; il vecchio sistema feudale vedeva una produzione delle risorse atta solamente al proprio sostentamento, ora è atta all'arricchimento dei produttori, o meglio, di chi detiene i mezzi di produzione. Così il benessere che nel passato era concesso solo ai nobili ora è consentito anche a molti altri, ovviamente solo per chi se lo può guadagnare: "Le idee di Lisa erano che tutti devono lavorare per vivere, che ciascuno è artefice della propria fortuna, che guai ad incoraggiare l'ozio e se ci sono dei disgraziati fannulloni tanto peggio per loro..."
Così il protagonista una volta entrato nella salumeria del fratello si sente spaesato in quel mondo dalla "grassa e sonnolenta atmosfera" dove "non c'era solo un chiodo nel pavimento, fino al soffitto che non trasudasse untume". La bottega, come ogni bottega che si rispetti, è completa di ogni tipo di aggeggio destinato al mestiere, il che denuncia una produzione industriale e non più manifatturiera di quegli utili oggetti: "parecchi arnesi, una pompa per risciacquare, una pressatrice, una macchina per tritare che con le loro ruote e le loro manopole suggerivano l'idea misteriosa e inquietante di una cucina infernale". A fianco a questi si presentano i meri oggetti d'arredo, anche loro probabilmente non più prodotti a mano, ma in serie: "la lucentezza della lampada d'ottone, il tenue giallo della carta da parati, la quercia chiara dei mobili". Ben più povera l'iniziale camera che dieci anni prima i fratelli condividevano: "due letti di ferro, un armadio una tavola e quattro sedie", presumibilmente anche questi prodotti in fabbrica.
Nascono molte imprese e "ditte commerciali" ma le vendite vanno regolate in modo rigoroso, per sfruttare appieno le possibilità senza che nessun commerciante commetta irregolarità, così nascono ruoli come quello dell'"ispettore al mercato", lavoro anche stimato, per il quale l'iniziale rifiuto del protagonista comporterà grande stupore. E solo quando alla fine, convinto dalla "tranquillità" e "beatitudine" in cui viveva la famiglia del fratello, "questo impiego aggiusterà tutto, anche tu sarai qualcuno, anzi ci farai onore", gli dice la cognata.
Si assiste alla nascita di una nuova coscienza civile, una coscienza del fare per vivere bene, fare per essere persone rispettabili, fare per guadagnare senza però compromettere il benessere, come si dice nel passo seguente: "Poi a loro non piaceva il lavoro convulso; volevano lavorare, sì, ma con comodo, senza dimagrire, insomma da brave persone che amano vivere bene"; sennò il troppo lavoro sfianca, come si dice, fors'anche con una punta d'invidia: "Ma è vivere il suo? Sempre colla febbre addosso, sempre in giro per il mondo, in mezzo a traffici infernali. Non è possibile che possa mangiare in pace la sera la sua cena; noi almeno sappiamo quel che mangiamo. [...] Il denaro serve per vivere, si sa che si cerca il proprio benessere, ma guadagnare per guadagnare, aver più fastidi che piaceri... allora preferisco restarmene con le mani in mano. [...] L'ho visto passare in carrozza, l'altro giorno, ed era tutto giallo, con un'aria sorniona. Un uomo che guadagna tutti quei soldi non dovrebbe avere una faccia di quel colore".
Accanto a questa visione però, c'è quella degli arrampicatori sociali, per i quali ben conta l'ambizione e l'immagine: "Ma lei aveva mire più ambiziose. Rue Pirouette offendeva il suo gusto di pulizia, il suo bisogno di aria, di luce, di salute. [...] La giovane donna sognava uno di quei negozi moderni, chiari, ricchi come saloni, coi vetri scintillanti che danno su una strada larga. E questo non per il desiderio un po' gretto di far la signora dietro il banco, ma perchè aveva la precisa coscienza dell'importanza del lusso nel commercio al giorno d'oggi". Certo Zola è sicuramente ironico a descrivere la smania di grandezza e rispetto di una grassa salumiera, che sorride "con quella sua bella aria tranquilla da vacca sacra", ma ella è l'icona negativa della nuova società borghese, che è pronta a mentire e ad abbandonare pure il proprio lato umano quando si tratta di affari: "Fu pronta ad ingannare i garzoni che arrivarono di lì a poco. Lo zio doveva essere morto nel suo letto se non si voleva disgustare il quartiere e perdere i clienti. Quenu istupiditò aiutò a trasportare il morto, meravigliato di non versare nemmeno una lacrima". Ed è soprattutto pronta a provare disprezzo e repulsione per le miserie altrui, dimenticando e rifiutando cosa sia la povertà: "La faccia di Lisa esprimeva chiaramente la meraviglia e il disgusto per ciò che aveva sentito. Il riso coi vermi e la carne guasta dovevano sembrarle sozzure incredibili e soprattutto disonorevoli per colui che le aveva mangiate"; o per chi non ha da mangiare: "<No> disse <io non ci credo. Poi non c'è nessuno che sia stato tre giorni senza mangiare. Quando si dice: - Quello crepa di fame - è un modo di dire. Si mangia sempre... più o meno... Bisogna essere dei miserabili, abbandonati da tutti, gente perduta...> Avrebbe detto senz'altro <pezzi da forca>, ma si trattenne guardando Florent. Tuttavia la smorfia di disprezzo delle sue labbra e lo sguardo freddo dichiaravano apertamente che secondo lei, solo i disgraziati potevano digiunare in quel modo disordinato. Un uomo capace di restare digiuno tre era per lei un essere pericoloso. I galantuomini non si mettono nelle condizioni di arrivare a questi estremi".
Però questo nuovo ceto sa anche presentarsi bene, d'altronde: "Lei così sana, tranquilla, com'era possibile potesse volere il male, mentre lui, magro, nero, con quell'aria sempre sospettosa, non poteva esser che lui il cattivo sempre intento a rimuginare pensieri orribili".

venerdì 29 marzo 2013

Ricerca per immagini...

Posto oggi un'opera di Monet, pittore parigino impressionista che operò nella seconda metà dell'800 e i primi del 900. L'opera è "La Gare Saint-Lazare" del 1877 ora contenuta all'Art Institute of Chicago.





L'arte dell'impressionismo è rappresentare con chiazze non definite di colore un'"impressione" dell'immagine che si trova davanti all'autore.  In questo caso si possono notare gli elementi tipici di una città industrializzata modena: il nero del ferro e le nuvolette di fumo dei treni, i lampioni dell'illuminazione pubblica, la grande costruzione della stazione atta ad accogliere molta gente, che deve la sua mole e resistenza all'utilizzo del metallo senza cui gli edifici sarebbero stati tutti più bassi e rachitici, i treni in sè, a quel tempo simbolo del progresso. La visione che ne esce fuori è di un'atmosfera un po' cupa, sporca e malsana, esaltata dai colori freddi della tavolozza dell'artista, che pone un dubbio sullo sfavillante ed inarrestabile progressismo del tempo.

mercoledì 27 marzo 2013

La città

Nel 1857 la città di Parigi appariva ricca di innovazioni tecnologiche e prendeva l'aspetto di una "metropoli" di quei tempi. La scena si apre di notte, una notte che porta il colore giallo dei lampioni a gas lungo la strada per andare in città, e ovunque le "fiamme dei gas" s'intravedono nell'oscurità. L'illuminazione elettrica pubblica aveva già raggiunto la capitale francese mentre nel resto del paese probabilmente di notte ci si orientava ancora alla luce della luna; in Francia come del resto in Italia.
Il protagonista, che mancava da sette anni nella città natale, ha diverse sorprese: Parigi è diventata una sorta di cantiere vivente, sono state soppresse alcune strade e fatte di nuove per far posto a nuovi edifici mai visti prima, almeno non così voluminosi. Al personaggio "tutto pare più grande" e pensando di andare a trovare il fratello chiede se "c'è ancora rue Pirouette?", segno di un'urbanistica in continuo mutamento per far posto al nuovo.
Ma l'edificio per antonomasia nel libro, il vero protagonista di esso, sono i mercati generali, freschi freschi di costruzione. "Voi forse non conoscete neanche i mercati nuovi? Saran cinque anni che li hanno costruiti. Vedete, questo qui, vicino a noi, è il padiglione della frutta e dei fiori..."; sono una costruzione enorme, contenente enormi quantità di beni di tutti i tipi. Il protagonista si dilunga nell'osservazione dell'oggetto, affascinato ed atterito, e l'autore pure nella descrizione. Quell'immane "foresta di metallo ... sotto le cui fronde si nascondeva tutto un mondo" è uno dei simboli del progresso della città; come dice l'autore "il nostro tempo era tutto là, in quella mole".
La necessità di dare a Parigi una così grande scorta di merci deriva dal grande incremento demografico della rivoluzione industriale. La richesta di lavoratori in fabbrica ha portato a una costante migrazione dalle campagne alla città industrializzata, il polo produttivo non è più la fattoria ma la fabbrica. Così le città che prendono per le briglie il progresso tecnologico devono anche far conto di "accogliere" un numero mai visto prima di abitanti e di sopperire alle loro esigenze. E così hanno origine nuove strade, nuovi palazzi, nuovi edifici, tutti atti al sostenimento della popolazione. La cultura scientifica ha portato anche a riconsiderare alcune necessità: ad esempio l'igiene e la pulizia pubblici non erano mai stati curati con tanta cura, nei secoli precedenti. Vediamo squadre di spazzini al lavoro nel mercato per rimuovere i rifiuti, viene quindi creato un mestiere atto proprio a pulire la città. Certo a noi questo contemporanei sembra ovvio ma se si pensa che nel Medioevo si rovesciavano i vasi da notte per strada e le strade venivano lasciate sporche di escrementi, ci rendiamo conto che sono stati fatti grossi passi avanti.
Lo stesso gusto dell'uomo muta rispetto la modernità imperante: l'immagine del ferro e del metallo, una volta ritenuta sterile sotto un certo sguardo artistico, adesso comincia a suscitare ammirazione e fascino. Vi è un pittore che sotto la volta dei mercati: "guardate là quell'angolo; non è un quadro bell'e pronto? è molto più vero e umano che non quelle loro tisiche pitture sacre!". Le costruzioni in metallo diventano quasi elementi di una moda progressista, lanciata dagli uomini di scienza, ma apprezzata anche dagli uomini d'arte. Sempre lo stesso pittore, parlando delle sue opere si alterna fra la bellezza della natura e l'esaltazione dell'artificio, la ripresa e il rifiuto del vecchio a favore del nuovo; narra l'autore "preferiva quei mucchi di cavoli al ciarpame del Medioevo e finì con l'accusarsi dell'acquaforte di rue Pirouette come di una debolezza. Era ora di buttare via quelle anticaglie e fare del moderno!"
Lo stesso Zola nella sua arte di scrittore ricorre a un certo gusto del metallo: le analogie non si rivolgono più a elementi bucolici o tradizionali per la cultura del tempo, ma si fa largo uso del ferro e dei metalli come termine di paragone: "gli enormi cavoli bianchi chiusi e duri come palle di metallo, cavoli ricciuti dalle larghe foglie, simili a tazze di bronzo". Abbondano descrizioni, stridenti e liriche, del mercato come di qualcosa che sfiora il trascendentale, la già citata "foresta di metallo" e altre, come la seguente: "Le loro forme geometriche si intersecavano l'una sull'altra; quando ogni lume fu spento all'interno, ed i mercati furono inondati dalla luce del giorno, apparvero quadrati, uniformi, come una macchina moderna e smisurata, che so, un'enorme macchina a vapore, una caldaia che dovesse servire alla digestione di un popolo, un ventre gigantesco, bullonato, ribadito, fatto di legno, di vetro e di ferro, di una eleganze, di una potenza da motore meccanico azionato dal calore del combustibile, e dalla furia fremente e vertiginosa delle ruote".

martedì 26 marzo 2013

Presentazione

Benvenuti a tutti,

questo blog nasce parallelamente al corso di studi di storia della tecnologia di Torino e cercherà di investigarne autonomamente la parte legata al rapporto fra progresso tecnologico e società in seguito alla rivoluzione industriale nell'800 in Francia. Inizialmente mi baserò sulla lettura del romanzo "Le Ventre de Paris" di Emile Zola.




Riccardo Mimmo